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Perdita di udito e decadimento cognitivo

Secondo il rapporto dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), 446 milioni di persone nel mondo sono affette da disabilità uditive di livello medio e grave, oltre il 5% della popolazione mondiale (432 milioni di adulti). La prevalenza dell’ipoacusia aumenta all’aumentare dell’età. Circa un terzo degli ultrasessantenni presenta in Italia una riduzione dell’udito invalidante, cioè che impatta sensibilmente la qualità della vita, conducendo, se non curata, all’isolamento sociale, al declino cognitivo e alla demenza, con effetti negativi anche sull’equilibrio e la mobilità. In Italia, il tempo che in media intercorre tra la diagnosi di ipoacusia e l’inizio del trattamento protesico-riabilitativo è di circa 10 anni. Quali sono le conseguenze del ritardo o del mancato trattamento del deficit della funzione uditiva?

Un progressivo decadimento delle seguenti funzioni cognitive:

1) la memoria: il progressivo deficit della memoria comporta una graduale riduzione della capacità di detezione della traccia mnestica, del vocabolario e della fluenza lessicale;

2) le funzioni esecutive: il decadimento di queste funzioni determina un deficit del controllo inibitorio, della capacità attentiva, della flessibilità mentale con difficoltà nella pianificazione di operazioni complesse e nell’orientamento spazio temporale. Tutto questo comporta un progressivo decadimento cognitivo fino alla demenza.

I meccanismi fisiopatologici di questo processo sono:

1) l’aumento del carico cognitivo: in caso di ipoacusia gli stimoli uditivi che arrivano al cervello sono minori e in parte compromessi, pertanto, è richiesto uno sforzo cerebrale maggiore per la decodifica del segnale acustico;

2) le alterazioni anatomiche delle strutture cerebrali: la ridotta capacità uditiva determina una riduzione del volume della corteccia cerebrale uditiva e una accelerazione del processo di atrofia corticale, soprattutto del lobo temporale;

3) l’isolamento sociale: la ridotta comunicazione verbale comporta depressione e demenza.

Inoltre la gravità dell’ipoacusia è direttamente proporzionale al rischio di sviluppare una demenza, basti pensare che per ogni 10 dB di perdita uditiva il rischio aumenta di circa 2,7 volte. Pertanto, anche se si è propensi a pensare che la sordità sia una conseguenza naturale del processo di invecchiamento, non va né sottovalutata né ignorata anche perché terapizzabile. Fondamentale è aumentare la consapevolezza di fronte alla perdita di udito nella terza età, sottolineando l’importanza di prevenzione e diagnosi nell’affrontare uno dei problemi sanitari e sociali più importanti che colpisce la società di oggi. Solo in Italia, il costo sociale della demenza è superiore a 10 milioni di euro l’anno, si comprende pertanto come di tutti i fattori di rischio della demenza (fumo, ipertensione, diabete, dislipidemia, cardiopatia e cerebropatia ischemica, ecc.) l’ipoacusia costituisca il fattore di rischio modificabile più importante. Ripristinare la funzione uditiva consente di ridurre il declino cognitivo, di demenza e di cadute accidentali. Il trattamento della perdita uditiva a seconda dell’entità dell’ipoacusia può avvalersi della protesizzazione acustica o dell’impianto cocleare, applicabile a persone di qualsiasi età. Le protesi acustiche fungendo da equalizzatori uditivi, richiedono una funzione cocleare residua e danno degli ottimi risultati nelle sordità medio gravi.  Numerosi studi in letteratura dimostrano un miglioramento significativo delle performance mentali, negli over 65 già dopo tre mesi di utilizzo delle protesi acustiche con un rallentamento significativo del declino cognitivo legato all’età. Quando la protesizzazione acustica tradizionale non è sufficiente a ristabilire un udito sociale si può ricorrere all’impianto cocleare. L’impianto cocleare, primo organo di senso artificiale, è costituito da una parte esterna deputata alla conversione del segnale acustico in elettrico. Questo viene trasmesso mediante accoppiamento elettromagnetico, ad una parte interna inserita chirurgicamente nel canale cocleare. La parte interna stimola direttamente il nervo acustico anche in assenza di una funzione cocleare residua. Recentemente numerosi studi in letteratura dimostrano che negli over 60, come anche negli ultraottantenni, la correzione del deficit uditivo con l’impianto cocleare determina un miglioramento delle funzioni cognitive e della qualità della vita già dopo 6 mesi di utilizzo.

Inoltre da altri studi è emerso che solo l’udito binaurale consente una riduzione dello sforzo uditivo, un miglioramento della capacità attentiva con una attivazione delle regioni frontali e prefrontali corticali non attivate nella stimolazione monoaurale. Nonostante la provata efficacia dell’utilizzo di apparecchi acustici o quando questi non sufficienti dell’impianto cocleare, esiste un marcato sottoutilizzo degli stessi.

Le motivazioni sono diverse:

  • inadeguata attenzione al problema da parte dell’individuo, dei familiari e del medico curante;
  • l’inadeguata accondiscendenza all’utilizzo degli apparecchi acustici che necessitano di un periodo di adattamento all’uso;
  • l’assenza di supporto sociale;
  • i costi elevati;
  • i motivi estetici.

Considerando che in Italia solo il 3% di coloro che sono affetti da perdita udiva accede ad un trattamento per curare la sordità, mentre il restante 97% no, si comprende l’importanza di diffondere “il verbo” del rapporto esistente tra funzione uditiva e decadimento cognitivo. In sintesi “sentiamo con le orecchie ma capiamo con il cervello”, se non utilizziamo l’udito utilizziamo meno il nostro cervello.

Fonte: Audioprotesista.it

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