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Può un problema di salute fisico o mentale influenzare la produzione di un artista? Ebbene, per quanto riguarda Beethoven abbiamo ora, almeno una risposta, seppur ancora parziale: ed è sì: gli spartiti composti da Beethoven risentono dell’influenza dei suoi problemi d’udito.
Lo spiegano i ricercatori di un team olandese che ha analizzato parte della musica del grande compositore, confrontandola con l’andamento della sua progressiva sordità. Così si è visto che, via via che passavano gli anni e l’udito scemava, le composizioni includevano un numero sempre minore di note alte. Una rarefazione che, dopo la definitiva sordità del musicista, si è, tuttavia, interrotta. A quel punto, infatti, le note alte sono riapparse sugli spartiti perché, spiegano i ricercatori, il grande compositore “ha ricominciato a seguire la musica che aveva dentro“.
LO STUDIO
L’analisi, pubblicata sul British Medical Journal, dal team di ricerca parla chiaro: c’è una chiara corrispondenza fra i cosiddetti “tre stili di Beethoven” e la progressione della sua sordità. E questo, si legge sul britannico Telegraph che riporta per primo la notizia, grazie all’analisi delle note usate nei quartetti d’archi per violino. La sua musica è stata raggruppata in base a quattro periodi temporali: dal 1778 al 1800, dal 1805 al 1806, dal 1810 al 1811 e dal 1824 al 1826. Il numero di note sopra 1568Hz scritte per il primo violino è stato contato e calcolato in percentuale rispetto a tutte le altre.
Si è visto che poco dopo i primi sintomi documentati di ipoacusia, nei quartetti dell’Opera 18 c’era circa un 8% di note alte. Dal 1805, via via che le difficoltà di udito aumentavano, si scende al 5% (Opera 59), e ancora al 2% (Opera 74 e 95), e questo proprio quando Beethoven raccontava di dover usare cotone nelle orecchie per contrastare uno sgradevole ronzio.
LA MUSICA NEL CERVELLO
Dal 1825, dopo che il compositore aveva ormai capito che non avrebbe mai potuto ascoltare la sua Nona Sinfonia, nelle sue opere le note alte tornano via via a ricomparire: la percentuale, secondo gli scienziati, sale a quasi il 4%. “Questi risultati – spiega Edoardo Saccenti, ricercatore italiano dell’Università di Amsterdam – suggeriscono che, con la progressione della sua sordità, Beethoven tendesse a utilizzare note con una frequenza media e bassa, che avrebbe potuto sentire meglio“.
“Quando poi è stato costretto ad affidarsi completamente al suo orecchio interno, non era più obbligato a produrre musica che poteva davvero sentire. Così è lentamente tornato al suo mondo musicale interiore e alle precedenti esperienze di composizione“. Ma dal momento che lo studio comprende solo una parte delle composizioni del genio, “i nostri risultati sono ben lungi dall’essere conclusivi: provare in modo definitivo che la perdita dell’udito di Beethoven abbia avuto un impatto notevole nel plasmare il suo stile musicale – conclude il ricercatore – richiederebbe analisi statistiche complete di tutto il catalogo delle sue opere“.